Aggiornamento di stato

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«Nell’anima della Cina. Saggezza, storia, fede»

6 gennaio 2018

Lo scorso 18 novembre, presso la sede de «La Civiltà Cattolica», ha avuto luogo la presentazione del volume«Nell’anima della Cina. Saggezza, storia, fede»

Sono intervenuti
-il presidente del Consiglio, on. Paolo GENTILONI,
-p. Federico LOMBARDI e
-il prof. Romano PRODI.

Il volume raccoglie saggi che sono il frutto del laboratorio de «La Civiltà Cattolica» e desidera entrare con discrezione, umiltà e ammirazione «nell’anima della Cina», cioè nel cuore di una cultura e di una civiltà antichissima. La nostra rivista ha prestato sempre una grande attenzione alle questioni cinesi. Proprio nel solco di tale tradizione, nell’ultimo anno e mezzo la rivista ha pubblicato ben 15 saggi e approfondimenti sul tema.
Riportiamo di seguito, nel loro ordine cronologico, gli interventi dei relatori. Alla fine pubblichiamo anche le parole introduttive del nostro direttore, p. Antonio Spadaro, curatore del volume.
* * *
Il primo intervento è stato quello del presidente del Consiglio, on. Paolo Gentiloni.
Grazie a padre Antonio Spadaro, che per la seconda volta in tempi recenti mi coinvolge in un’occasione di grandissimo interesse, dopo l’evento dello scorso maggio che si inseriva nel solco delle celebrazioni del numero 4000 de La Civiltà Cattolica.
Il volume che viene presentato oggi è un contributo prezioso alla conoscenza della Cina; ne parleranno, insieme a padre Spadaro, il presidente Romano Prodi e padre Federico Lombardi, che hanno un’esperienza e una conoscenza in materia ben maggiore della mia.
Io cercherò di soffermarmi su alcuni tratti che possono, sulla base di questo lavoro, avere un certo interesse nel rapporto tra l’Italia e la Cina, tra le visioni dei nostri due Paesi. Abbiamo una storia importante alle nostre spalle: riuscire a creare canali di dialogo e di contatto con la Cina è una sfida che ci accompagna da secoli; saper cogliere l’anima della Cina e dell’Asia, per noi europei, vuol dire compiere un esercizio intellettuale affascinante.
Henry Kissinger, che aveva una certa esperienza di dialogo con la Cina, nel suo saggio sull’ordine mondiale ha ricordato che, fino all’arrivo delle moderne potenze occidentali, in nessuna lingua parlata in questo immenso continente esisteva una parola equivalente ad «Asia»; nessuno dei grandi popoli della regione si considerava parte di un continente unico.
Ecco una delle molte differenze fra Europa e Asia. L’Europa è un insieme di popoli stretti all’interno di confini geografici limitati; anche per questo, noi europei abbiamo sempre vissuto con la consapevolezza di un destino comune, sia pure in forme molto diverse. Quella dell’Asia è una realtà differente: basta osservare con attenzione una cartina geografica. In Asia convivono tre grandi Paesi, come Cina, India e Russia, che potrebbero essere continenti a sé, e molte altre nazioni che come dimensioni sono paragonabili ai più grandi tra i Paesi europei.
L’influenza di spazi così vasti ha plasmato le fortissime identità delle più grandi nazioni del continente asiatico: le ha rese così uniche e così consapevoli della propria unicità. La geografia ha tenuto per molto tempo separate Europa e Asia e, quando esse si sono finalmente incontrate, non sempre sono riuscite a capirsi.
L’Europa è arrivata in Cina alla ricerca di nuovi spazi e di nuove opportunità. La Cina, al contrario, per molto tempo è bastata a se stessa, in un certo senso, forte di una continuità di civiltà che non ha pari nel mondo e di una posizione di forte predominio nella propria sfera geografica.
Ed è proprio partendo da queste differenze tra Europa e Asia che riusciamo a cogliere l’importanza del viaggio dei padri gesuiti italiani nel Cinquecento e nel Seicento: un viaggio sul quale il volume de La Civiltà Cattolica si diffonde in particolare nella sezione su «Le figure e la storia», che contiene anche diverse testimonianze interessanti sui cristiani cinesi di quell’epoca.
Naturalmente spicca la figura di padre Matteo Ricci, gesuita marchigiano, tuttora molto popolare in Cina, come io stesso ho avuto modo di verificare nei miei quattro viaggi da ministro degli Esteri e da presidente del Consiglio.
Ricci fu uno dei primi occidentali ad arrivare a Pechino e, soprattutto, il primo a cogliere l’esigenza di costruire il dialogo tra due mondi sulla base del riconoscimento delle rispettive culture. Ricci e i suoi compagni gesuiti scelsero di adattarsi agli usi e ai costumi locali, di assorbire la lingua e la cultura cinese, di dedicare una grande attenzione alla comprensione del sistema cinese e della sua classe dirigente dell’epoca; nutrirono un profondo rispetto per gli alti valori morali di quella società e per gli insegnamenti del confucianesimo.
In questo modo il padre gesuita guadagnò la fiducia della corte cinese, dove si compì il miracolo di un vero incontro culturale fra due mondi, con l’introduzione, da parte di Ricci, della filosofia, della scienza e della tecnologia dell’Occidente.
Un miracolo simboleggiato, come ricordava padre Spadaro, dalla straordinaria Carta geografica, completa di tutti i regni del mondo, che Ricci realizzò nel 1602 con studiosi cinesi, su richiesta dell’imperatore Wanli. Una mappa nella quale conoscenze geografiche ignote ai cinesi, come l’esistenza dell’America, si combinavano con nozioni geografiche sconosciute agli europei.
I padri gesuiti italiani furono capaci di portare la Cina all’interno del nostro mondo. Tra loro Martino Martini, che introdusse in Europa la storia, la grammatica e la geografia della Cina; Prospero Intorcetta, gesuita che arrivò in Cina da Messina e che fu il primo europeo a tradurre le opere di Confucio.
L’Italia fu protagonista di un avvicinamento tra due mondi, di un incontro che permise a Oriente e Occidente di crescere e di evolvere, creando occasioni di dialogo a partire dalle rispettive culture e dalle rispettive identità. Uno straordinario esercizio di soft–power, potremmo dire oggi, che si riallaccia perfettamente a quello che è il ruolo e la funzione che l’Italia può svolgere nello scenario globale nei nostri tempi, a quella che è la nostra vocazione, la nostra propensione al dialogo.
L’Italia che si affaccia verso la Cina, oggi come ieri, è un Paese che non si spoglia della propria storia, della propria identità culturale. Questa identità culturale riesce a dare agli italiani una forza speciale per dialogare con la civiltà cinese. Italia e Cina sono i due Paesi che ospitano il maggior numero di siti patrimonio dell’umanità, secondo le graduatorie dell’Unesco; Italia e Cina sono due mondi che si riconoscono reciprocamente e che non cercano di imporre valori ed egemonie, perché sono civiltà troppo antiche per avere questo tipo di ambizione.
Ancora oggi, noi europei continuiamo ad avere bisogno di mappe, di bussole, che orientino il nostro sguardo più ampio sulla Cina, e a ciò contribuisce questo prezioso volume. Sono molto curioso di ascoltare l’intervento di padre Lombardi, perché nel suo saggio introduttivo, come molti di voi avranno visto, ha applicato al tema delle relazioni con la Cina i quattro princìpi di orientamento enunciati da papa Francesco nell’Evangelii gaudium: «Il tempo è superiore allo spazio», «l’unità prevale sul conflitto», «la realtà è più importante dell’idea», «il tutto è superiore alla parte». Un accostamento davvero affascinante.
La pubblicazione di quest’opera coincide con un momento storico di grande importanza per la Repubblica popolare cinese. Il XIX Congresso del Partito comunista dell’ottobre scorso, pur nella continuità evolutiva che caratterizza da oltre trent’anni i momenti di transizione politica in Cina, non è stato un Congresso come gli altri.
Due aspetti colpiscono, credo, più di ogni altra cosa: primo, una chiara prospettiva storica; secondo, l’atteggiamento fiducioso nei confronti del futuro. Nella visione del presidente Xi Jinping, la Cina andrà lontano, perché viene da lontano. La consapevolezza della propria storia costituisce la premessa per affrontare le sfide del futuro.
Sappiamo che le trasformazioni che coinvolgono la Cina in questo momento sono davvero enormi. La sfida fondamentale – ho avuto il privilegio di parlarne a lungo anche con il presidente Xi Jinping – è quella di continuare il proprio percorso di espansione economica, evitando l’esplosione delle disuguaglianze sociali. È la sfida di migliorare ulteriormente il tenore e la qualità di vita, per preservare la coesione del tessuto sociale e la proiezione cinese nel mondo. Su questo si concentrano le politiche cinesi di lungo periodo, orientate a creare, come ha affermato il presidente Xi Jinping al Congresso, una società di innovatori.
Noi dobbiamo essere consapevoli che il mondo intero ha interesse a un’evoluzione positiva di tali trasformazioni. Perché una Cina riformata, stabile, più prospera può contribuire in modo più equilibrato alla crescita mondiale e può essere un partner imprescindibile nella governance delle grandi tematiche globali.
Per questo oggi è importante accompagnare tale processo ed essere presenti come Europa e come Italia. L’Italia ha scommesso sul successo delle trasformazioni in corso in Cina e ha registrato, negli ultimi anni, un riscontro molto positivo; finalmente cominciamo a prendere sul serio il rapporto con questo immenso Paese. Siamo vicini a celebrare i cinquant’anni delle nostre relazioni diplomatiche, e la continuità delle relazioni, delle visite, dei rapporti economici e dei rapporti diplomatici è assolutamente fondamentale.
Ascolteremo su questo il presidente Prodi, che credo conosca il rapporto dell’Italia con la Cina come nessun altro, e al quale spesso mi rivolgo per avere buoni consigli. Io vorrei fare qui un riferimento alla mia esperienza di governo, relativo al Belt and Road Forum, al quale ho partecipato lo scorso maggio: l’incontro dedicato alla grande iniziativa della «Nuova via della seta», alla quale la leadership cinese tiene moltissimo.
Credo che in quell’occasione siano emersi due messaggi importanti. Il primo è la conferma che si tratta di un progetto di forte interesse per l’Italia. La «Nuova via della seta» è un’iniziativa nella quale l’Italia può essere protagonista: un’iniziativa che apre grandi spazi di opportunità per il nostro Paese, certamente in modo rilevante per i nostri porti, ma non solo.
Il secondo messaggio riguarda l’importanza di una sinergia efficace tra i grandi progetti realizzati in Asia e quelli europei. Oggi, nell’era della connettività, dobbiamo essere consapevoli che per moltiplicare le occasioni di crescita economica abbiamo bisogno che i progetti a dimensione continentale dell’Europa – nel settore dell’energia e in quello delle infrastrutture – siano visti in prospettiva come collegati ai grandi progetti di interconnessione che si sviluppano in Asia.
In conclusione, noi italiani intendiamo relazionarci con la Cina, mantenendo quei princìpi di pluralismo, di tutela dei diritti fondamentali che sono il cuore della nostra Costituzione. La centralità della persona umana e dei suoi diritti è la nostra pietra angolare. Il mito di un’efficienza economica che si sviluppi a scapito della democrazia non ci appartiene. Ma, nella differenza fra i nostri due sistemi, cogliamo – e dobbiamo continuare a cogliere – una tensione comune verso l’esigenza di creare nuovi spazi di opportunità in questa particolare fase storica.
Perciò guardiamo con attenzione al dialogo promosso dal Pontefice con il popolo cinese e i suoi rappresentanti, nella consapevolezza che lo sviluppo di tale dialogo può essere di straordinario beneficio per l’Italia, per l’Europa e per l’intera comunità internazionale.
«Il mondo soffre per mancanza di pensiero», scriveva papa Paolo VI nella Populorum Progressio. E nel mondo di oggi, in una società globale come la nostra, abbiamo tutti bisogno di punti di riferimento, di sistemi di valori, di cultura, di identità. Di questo sono coscienti gli stessi leader cinesi, come dimostra il recupero della tradizione del pensiero confuciano, nell’intento di dare respiro e valido ancoraggio di valori e princìpi in una società attraversata da trasformazioni così profonde.
E dunque l’incontro tra i due mondi, propiziato secoli fa dai padri gesuiti, molti dei quali italiani, resta ancora oggi un esempio di come, mettendo al centro il rispetto e la curiosità per le rispettive culture e identità, anche distanze e differenze apparentemente incolmabili possano essere superate con successo. Ancora oggi, quell’incontro tra due mondi ci ricorda che Italia e Cina hanno uno straordinario patrimonio di storia su cui basare e far crescere la prospettiva futura dei loro rapporti.
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Dopo l’on. Gentiloni ha preso la parolap. Federico Lombardi, presidente della «Fondazione Joseph Ratzinger».
Alla domanda sul perché di questo libro, la risposta l’ha già data padre Antonio Spadaro nella sua introduzione. Ma permettetemi di ritornare su questo tema, allargandolo alla Compagnia di Gesù. Per i gesuiti, l’attenzione e l’amore per la Cina sono presenti e intensi fin dalle origini.
Francesco Saverio, già compagno di studi di sant’Ignazio alla Sorbona agli albori della storia della Compagnia, è il primo gesui¬ta che parte da Roma per andare in missione (1540); dopo aver viaggiato in India, nelle Molucche e in Giappone, muore proprio alle porte della Cina, nell’isoletta di Sancian (1552). Egli aspettava e sperava di entrare in Cina, perché aveva capito che la Cina è il centro non solo geografico, ma anche culturale di quella grande parte del mondo. Una dottrina nuova non può essere ben accolta dagli altri popoli dell’Asia orientale, se i cinesi non la conoscono e non l’apprezzano.
Dopo il Saverio, durante trent’anni, altri 25 gesuiti cercheranno di entrare in Cina senza riuscirci, fino all’arrivo a Macao del famoso visitatore Alessandro Valignano, che chiamerà dall’Italia due giovani religiosi – Michele Ruggieri e Matteo Ricci – e darà loro alcune indicazioni fondamentali da seguire: la maggiore padronanza possibile della lingua cinese, la profonda simpatia e il rispetto per i valori spirituali e intellettuali dei cinesi, la capacità di pubblicare scritti e sviluppare buone relazioni sociali anche con le persone colte, la condivisione delle conoscenze scientifiche occidentali e la testimonianza vissuta delle virtù ispirate dalla fede cristiana. La vita e l’opera di Ricci saranno la realizzazione più compiuta di questa impostazione, coronata da ottimi risultati, tanto che egli potrà non solo entrare in Cina, ma giungere, attraverso diverse tappe, fino a Pechino ed essere accolto con favore dalla stessa corte imperiale.
Ricci apre una strada che verrà percorsa da altri numerosi suoi confratelli, figure di prim’ordine come religiosi e come uomini di cultura. Il nostro libro ne ricorda alcuni, come il trentino Martino Martini, ma, se si volesse raccontare la storia dei gesuiti in Cina nel Seicento e Settecento, le pagine avvincenti si potrebbero moltiplicare all’infinito. Con queste premesse, non ci si può stupire che i gesuiti sentano l’amore per la Cina come parte integrante della loro storia e della loro identità fino ad oggi.
Un aspetto centrale è l’atteggiamento fondamentale da cui sono stati guidati Matteo Ricci e i suoi successori: l’amicizia. Nel 1601, a Pechino, Ricci scrisse un trattato «sull’amicizia», in cui s’intrecciano la sapienza occidentale e quella cinese. L’eco di quest’opera costituì un’opportunità, per i mandarini e i letterati della corte dei Ming, per conoscere il pensiero di grandi filosofi occidentali, ma per altri gesui¬ti fu anche la base per dialogare con i grandi intellettuali della Cina nella comprensione reciproca.
L’amicizia genera fiducia e si fonda sulla potenza esistenziale del dialogo, che riesce a trasformare gli animi, richiedendo a volte molta dedizione, e a volte anche sofferenza. «Quando si considera l’amico come se stesso – scrive Ricci –, allora il lontano si avvicina, il debole si rafforza, chi ha subìto disgrazie torna nella prosperità, l’ammalato guarisce». Naturalmente, il presupposto del dialogo in amicizia è che nessuno degli interlocutori si consideri superiore all’altro, che nessuno sia guidato da interessi particolari che mirino alla sottomissione o allo sfruttamento; che si vada invece l’uno verso l’altro con rispetto e disponibilità, in modo da permettere lo scambio di ciò che si ha e di ciò che si è in un vero incontro. E questo è proprio ciò che è avvenuto e ha differenziato nettamente Ricci e i suoi successori da colonizzatori e predoni, e ha permesso loro di stabilire con molti cinesi del tempo un rapporto di amicizia, di incontro e di collaborazione che rimane modello e ispirazione fino ai nostri giorni.
I gesuiti e i loro amici cinesi
Ne segue un’ulteriore considerazione. Quando l’amicizia è vera e caratterizza la vita stessa, non si può più parlare di una persona da sola, ma bisogna parlare dei due amici, o degli amici insieme. Perciò non dobbiamo continuare a parlare di Ricci da solo, ma dobbiamo sempre più parlare di Ricci e dei gesuiti con i loro amici cinesi, del ruolo dei cinesi nelle comunità cristiane e così via. E dobbiamo parlarne non come europei che parlano della Cina, ma come europei e cinesi insieme che parlano della loro storia comune. Questo è uno dei pregi del libro, scritto insieme da gesuiti europei e cinesi, e anche dell’impostazione specifica di diversi dei suoi articoli, che mettono appunto in sempre maggior rilievo l’importanza e il ruolo dei cinesi come coprotagonisti.
Da questo punto di vista, la figura più importante – ma non l’unica – è quella di Xu Guangqi, personalità di prim’ordine nella cultura e nella storia cinese, grande amico di Ricci e uno dei primi cinesi ad aderire al cattolicesimo. Originario di Shanghai, affascinato dal mappamondo, lesse le opere in cui Ricci presentava la fede cristiana e chiese di essere battezzato (1603). Raggiunta Pechino, divenne presto l’amico e l’interlocutore più assiduo di Ricci.
Xu Guangqi non solo aveva un’intelligenza ampia e versatile, ma era una persona desiderosa di affrontare i problemi più seri della società cinese del tempo, come l’organizzazione dell’esercito per difendere l’impero dalle minacce di invasione dal Nord; il controllo e la sistemazione delle innumerevoli vie d’acqua nel territorio cinese e l’irrigazione dei terreni; lo sviluppo dell’agricoltura per ottenere raccolti più abbondanti, contro fame e carestie. Egli si convinse di aver trovato nell’insegnamento morale e spirituale di Ricci la motivazione adeguata per il suo impegno, e nella scienza occidentale gli strumenti per affrontare le urgenti questioni aperte del suo grande Paese. Di qui un ampio progetto di traduzione in cinese di testi scientifici, cominciando dagli Elementi di Euclide.
L’opera di Xu continuerà anche dopo la morte di Ricci, quando egli raggiungerà i gradi più elevati dell’amministrazione imperiale. La sua figura è assolutamente fondamentale per comprendere davvero l’opera di Ricci in Cina, il suo significato, la natura dei rapporti che così «si vengono a stabilire al più alto livello fra due culture prima separate» (J. Needham). Senza di lui, inoltre, i gesuiti non avrebbero mai potuto inserirsi in una delle maggiori imprese culturali da loro compiute insieme ai dotti cinesi, cioè la riforma del calendario.
La riforma del calendario
Nella cultura e nella vita sociale cinese, caratterizzata da un profondo collegamento fra il Cielo e la Terra, il ruolo del calendario era assolutamente centrale. La sua compilazione era affidata all’Ufficio astronomico imperiale, che però a quel tempo incontrava serie difficoltà, ad esempio nella previsione delle eclissi. Ricci comprese che se i gesuiti fossero riusciti a contribuire alla correzione del calendario – come aveva fatto in Occidente il gesuita Cristoforo Clavio, con la riforma del calendario gregoriano –, avrebbero svolto un servizio di significato sociale e culturale fondamentale. Per questo chiese ai suoi superiori l’invio in Cina di bravi astronomi.
Dopo la sua morte, con l’appoggio determinante di Xu Guangqi, gli astronomi gesuiti, insieme a quelli cinesi, riuscirono a portare a compimento l’opera. Adam Schall, il più noto di loro, verrà nominato direttore dell’Ufficio astronomico imperiale (1644), e questo titolo sarà conservato ininterrottamente da astronomi gesuiti per oltre cento anni, fino al tempo della soppressione della Compagnia di Gesù. Padre Spadaro ha ricordato il mappamondo di Ricci, che contribuiva a collocarsi nello spazio, sulla superficie del globo, in rapporto agli altri Paesi e popoli. La riforma del calendario contribuiva a situarsi correttamente nella coordinata del tempo e in rapporto con gli eventi celesti. Studiare e precisare il proprio posto nello spazio e nel tempo: come si può esprimere simbolicamente in modo più pregnante il valore e il risultato dell’amicizia fra i grandi missionari gesuiti e gli esponenti della scienza e della cultura cinese del loro tempo?
Il dialogo morale e spirituale
Ma l’amicizia vissuta rende feconda anche la dimensione del dialogo morale e spirituale, il dialogo sulle relazioni umane e sulle virtù, sul senso della vita e sul rapporto con quello che Ricci chiama «il Signore del Cielo». Si può ben dire che il rispetto che egli ottiene dai dotti cinesi è fondato non meno sulla sua virtù e sulla sua ammirevole condotta di vita che sulla sua cultura. Vogliamo anche osservare che Xu Guangqi trova proprio nell’insegnamento morale e spirituale di Ricci la motivazione del suo straordinario impegno per il bene del suo popolo.
La bellissima «Lettera pastorale» che l’arcivescovo gesuita di Shanghai recentemente defunto, Aloysius Jin Luxian, dedica appunto alla sua figura (e che è riportata nel nostro libro), mostra con grande efficacia, in stile tipicamente cinese, la sintesi esemplare realizzata nella personalità e nella vita di Xu fra i suoi «quattro amori»: per la patria cinese, per il suo popolo, per la scienza e per la Chiesa. Se quindi è importante e doveroso riaffermare che l’annuncio cristiano è la motivazione più profonda che ha mosso i gesuiti verso la Cina e ha sostenuto il loro grande impegno umano e culturale, è altrettanto vero che nel più grande dei loro discepoli e amici la sintesi dei quattro amori si presenta con un’armonia credibile, convincente e, possiamo ben dire, affascinante.
L’attenzione e l’amicizia di papa Francesco per il popolo cinese
A questo punto, appare del tutto naturale passare dalla storia all’attualità. È infatti evidente che il nostro libro non intende essere un’opera di erudizione, ma di ispirazione per oggi. La figura di Matteo Ricci è uno dei modelli più importanti e presenti alla mente di papa Francesco. Il Pontefice lo evoca e vi si riferisce ogni volta che parla del rapporto fra il Vangelo, la Chiesa e le culture. Quando parla di Cina, vi si riferisce sempre, senza eccezioni. «Rispetto», «ammirazione» per una grande cultura e saggezza, «dialogo», «amicizia», «incontro», «empatia» sono le parole che tornano sulla sua bocca, evocando Ricci.
In particolare, «incontro» è un pezzo pregiato del vocabolario caratteristico di Francesco, che va ben al di là dello scambio dei contenuti concettuali, per quanto ricchi, e indica il coinvolgimento delle persone che si mettono in gioco per scambiarsi non quello che hanno, ma quello che sono. Ricci ha «incontrato» i cinesi e la loro cultura, e così è stato capace di mettersi in cammino con loro, perché l’incontro non è statico, ma intrinsecamente aperto a generare una dinamica.
All’inizio, padre Spadaro ha ricordato alcune parole di Francesco; non è difficile aggiungerne altre: «Matteo Ricci è stato capace di “incontrare” la Cina. La sua esperienza ci insegna che è necessario dialogare con la Cina, che è una fonte di saggezza e di storia. È una terra benedetta in molti modi. E la Chiesa cattolica, che tra i suoi compiti ha il rispetto di tutte le civiltà, ha più che mai il dovere di rispettare questa civiltà»[3].
L’amicizia e attenzione di papa Francesco per il popolo cinese è sincera e libera da interessi temporali, a differenza delle potenze politiche ed economiche. È interessante che – come si racconta nel libro – il cinese Fan Shouyi, venuto in Europa durante il tempo delle controversie sui riti e tornatone sacerdote gesuita, a differenza dei suoi confratelli che avevano generalmente descritto il Papa come un’autorità rispettata e venerata dai re dell’Europa, spiega più obiettivamente ai suoi concittadini e all’Imperatore che il Papa non conta molto in Europa come sovrano temporale e che la sua autorità è spirituale. Non per sminuire il Papa agli occhi dell’Imperatore, ma anzi per favorire i rapporti.
Quello che oggi a noi cristiani può sembrare ovvio, continua ad avere grande importanza, perché è assolutamente cruciale imparare a distinguere con chiarezza fra i piani diversi in cui si muovono l’autorità temporale e politica e quella spirituale e morale. Questo è tradizionalmente un punto critico per la comprensione reciproca fra autorità cinesi ed ecclesiastiche.
L’umanità attuale guarda con attenzione a papa Francesco e ai suoi orientamenti morali sulle grandi questioni che la travagliano, sui suoi grandi interrogativi davanti al futuro. Ciò vale anche per i cinesi. Basti pensare alle problematiche ambientali e a quelle sociali, che in Cina sono vivissime per lo sviluppo rapidissimo e il suo impatto formidabile sull’ambiente naturale, su quello urbano, sulla coesione sociale e sui sistemi di valori tradizionali.
Nell’enciclica Laudato si’ e in molti altri interventi il Papa ha saputo proporre una visione del contributo delle scienze moderne e dei loro risultati integrandolo con l’attenzione alla giustizia e alla solidarietà sociale, con la lotta alla corruzione e il richiamo alle responsabilità per il bene comune e le future generazioni, con l’esigenza di una rinnovata armonia fra l’uomo e il creato. Perciò, i valori morali che conseguono dalla fede e dalla visione cristiana si rivelano un contributo preziosissimo per l’edificazione della società in tempi di grande povertà spirituale e di disorientamento morale, e per una comunità internazionale che sia guidata dai princìpi della giustizia e della pace.
Una Chiesa pienamente cinese e pienamente cattolica
La visione cristiana proposta dalla Chiesa cattolica non costituisce un problema per la costruzione della società, ma, al contrario, è una forza estremamente positiva. Via di salvezza per la persona, ma non in modo individualistico: anche nella sua dimensione sociale e comunitaria. Non è forse la stessa cosa che pensava a suo tempo Xu Guangqi?
Per questo i Papi recenti – da Giovanni Paolo II a Benedetto XVI e a Francesco – affermano con convinzione che si può essere allo stesso tempo buoni cittadini cinesi e buoni cattolici[4]; anzi, quanto più si è buoni cattolici, si è anche buoni cittadini.
Non si può negare che non tutto sia filato liscio nel corso dei secoli, sia da parte della Chiesa cattolica – come è avvenuto nella lunga controversia dei cosiddetti «riti cinesi» – sia da parte delle autorità cinesi, soprattutto dopo la fondazione della Repubblica popolare, con atteggiamenti ostili, connessi a un’ideologia materialistica e totalitaria, fino agli eccessi violenti della «rivoluzione culturale». Com’è noto, le limitazioni alla vita della Chiesa hanno condotto a modi diversi di rapportarsi ad esse, e quindi a dolorose divisioni interne.
Però è anche vero che negli ultimi decenni molto è cambiato in meglio circa la possibilità di svolgere una vita ecclesiale, non solo con le attività di culto, ma anche con attività formative e di esercizio della carità; queste ultime sono molto apprezzate dalla società cinese e riconosciute in vari casi dalle autorità pubbliche.
Alla situazione attuale della Chiesa cattolica in Cina è dedicata l’ultima parte del volume, e il mio studio introduttivo ripercorre le indicazioni molto attuali dell’importante «Lettera di Benedetto XVI ai cattolici cinesi» – di cui ricorre il decennale –, che li invita con decisione a impegnarsi nella riconciliazione interna, nella formazione dei giovani, nella cura della famiglia, nella carità operosa, e così annunciare efficacemente il Vangelo.
Dal punto di vista della Chiesa in Cina e anche dal punto di vista della Chiesa universale presentato dai Papi, non vi è il minimo dubbio che la Chiesa cattolica in Cina possa e debba essere allo stesso tempo pienamente cinese e pienamente cattolica. Il suo legame con la Chiesa cattolica universale non è di natura politica, ma religioso, spirituale; non contraddice in alcun modo il pieno inserimento della vita cristiana e dell’annuncio del Vangelo nel contesto cinese, anzi, è proprio la garanzia della sua specifica vitalità e quindi del suo apporto originale alla società e al Paese. Tutta la bellissima storia che abbiamo evocato di rapporto positivo, in sincera amicizia, tra Ricci e i suoi successori e i dotti cinesi, diversi dei quali aderirono al cattolicesimo, è un solidissimo argomento e modello di vera inculturazione a cui continuare a ispirarci.
Al servizio di questa piena identità – al tempo stesso cinese e cattolica della Chiesa in Cina –, e solo ad esso, mirano i contatti in corso fra le autorità della Santa Sede e le autorità cinesi. Contatti chiaramente auspicati da Benedetto XVI nella sua «Lettera», e ripresi ora nel nuovo clima del pontificato di papa Francesco.
Non vi è dubbio che alcuni degli articoli pubblicati nel libro e la sua prospettiva complessiva sostengano con decisione tali contatti, auspicando che possano giungere a risultati positivi, soprattutto sul punto ben noto della nomina e dell’ordinazione dei vescovi con il mandato pontificio, e quindi, in prospettiva, della costituzione di una Conferenza episcopale legittima e unita. Tuttavia, non intendiamo entrare nel merito dei contenuti di contatti che sono di competenza delle rispettive autorità.
Concludiamo quindi facendo presente che i princìpi orientatori che il papa Francesco ha indicato nella sua esortazione apostolica programmatica Evangelii gaudiumsembrano fatti su misura per assumere gli atteggiamenti appropriati per condurre in porto questi contatti. Il Papa ha indicato quattro punti: 1) mettere in moto con pazienza e lungimiranza processi di cambiamento; 2)rispettare la «poliedricità» della realtà, tenendo insieme la varietà delle culture e delle situazioni in prospettiva di unione e non di conflitto; 3) la realtà è più importante dell’idea: bisogna cioè vedere qual è la realtà effettiva con la sua complessità, e discernere le soluzioni adatte alle situazioni concrete, senza restare prigionieri di definizioni formali rigide e astratte; 4) porsi dal punto di vista superiore del bene comune complessivo, anche a costo di qualche rinuncia, perché dal bene comune traggono in definitiva vero vantaggio tutte le parti.
Conclusione
Siamo partiti ricordando una storia bellissima, forse il punto più alto dell’incontro fra la cultura occidentale e quella cinese, raggiunto grazie alla spinta per condividere con tutti i popoli l’annuncio del Vangelo, in atteggiamento di sincera e disinteressata amicizia. Che cosa impedisce che ciò sia vero anche oggi, che si rinnovi e sia fruttuoso nell’orizzonte del mondo globale, il nostro unico mondo, che si è aperto davanti alla nostra mente, scoprendo insieme il mappamondo e sincronizzando la nostra storia comune, studiando le leggi del creato intorno a noi e contemplando le profondità del cielo sopra di noi?
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Quindi ha preso la parola il professoreRomano Prodi.
Ringrazio molto per l’invito. Parlare in questa sede dopo oratori tanto importanti è un problema. Però in fondo, non essendo né Presidente del Consiglio né gesuita, posso muovermi agevolmente lungo questa strada.
Questo libro è davvero eccezionale. A me, poi, che frequento la Cina dal 1984 e la conosco pochissimo, ha dato ulteriori elementi di conoscenza, perché presenta delle riflessioni splendide. Certo, non sono un conoscitore della storia cinese e dell’arte cinese, che ritroviamo anche in questo libro, e che insieme alla filosofia e alla teologia aiutano ad avere un quadro complessivo. Quindi non voglio riflettere su questo. Ricordo solo quando seguivo con invidia, al museo di Shanghai, il presidente francese Chirac, il quale mi spiegava la differenza tra i diversi vasi cinesi e tra le diverse dinastie. L’ho poi seguito con divertimento quando, il giorno dopo, si è messo a spiegare la storia cinese al Presidente cinese. Assistere a 40 minuti di dibattito tra i due su una battaglia navale del Duecento, vi assicuro che è il massimo della vita.
Tra gli autori di questo libro, a parte quelli presenti, ho conosciuto soltanto l’arcivescovo di Shanghai, Aloysius Jin Luxian, un uomo straordinario con una vita complessa. È diventato gesuita nel 1938, poi è stato a Parigi, è stato ordinato nel 1945, ed è venuto a Roma, dove credo sia stato cappellano a Tor Bella Monaca. Pertanto egli ha conosciuto anche la periferia di Roma. Dopodiché è andato in Cina, dove è stato imprigionato nel 1955, ed è rimasto in carcere per 27 anni. L’ultima volta che l’ho visto, mi disse: «Sa, professore, 27 anni su 93, non sono poi un periodo tanto lungo».
L’ho visto alcune volte. Una volta era intento alla costruzione delle vetrate della cattedrale di Shangai, distrutte dalla rivoluzione culturale. Un’altra volta nella sua canonica, che sembrava quella di un paese italiano, con tanti quadretti appesi che non capivo… e gli chiedevo: «Ma cos’è, la storia della Bibbia?»; e lui: «No, no, è la lode della vecchiaia».
Discutevamo di tante cose. Lui mi chiese dell’Unione Europea, io gli spiegai qualcosa e poi dissi: «Eccellenza, tra Cina e Giappone dovreste fare come tra Francia e Spagna». Lui mi guardò e disse: «Vede, ho 93 anni: non ho mai comprato e mai comprerò un prodotto giapponese».
Questo tema è risuonato prima, nell’intervento di padre Lombardi. Mons. Luxian aveva questo amore per il popolo, per la patria, per la scienza e per la Chiesa. Tutti insieme. Interessante è cogliere tale profondo senso di appartenenza al Paese, e insieme questa profondissima fedeltà alla Chiesa.
La vita di Xu Guangqi, di cui parla nel libro l’articolo di mons. Jin Luxian e che prima è stato ricordato da padre Lombardi, era in fondo la sua stessa vita. Egli scriveva per se stesso, per mostrare come la conciliazione di quelle quattro dimensioni fosse possibile anche nelle grandi difficoltà. Proprio la loro sintesi sembra essere il terreno buono per superarle: attraverso lo stile di vita e il rapporto profondo con il popolo e con la società.
Queste quattro dimensioni sono poi le basi fondamentali per un dialogo. Un dialogo che lo stesso padre Joseph Shih, qui nel libro, ritiene possibile, con l’obiettivo – che i gesuiti hanno sempre perseguito – di avere una Chiesa profondamente cinese e profondamente cattolica. È la questione di oggi, e non è una questione semplice. Il rapporto tra governo cinese e Santa Sede è complicato. Se non altro perché sono le uniche due istituzioni che misurano il tempo non in giorni o in mesi, ma in decenni o in secoli. Il dialogo tra due soggetti che hanno una visione così «secolare» del mondo è certamente difficile.
D’altra parte, negli ultimi tempi questo dialogo ha fatto un grande salto in avanti… Il saluto dato in aereo dal Papa e l’intervista rilasciata a Francesco Sisci – qui presente – su Asia Times sono due grossi salti in avanti dal punto di vista quasi sentimentale: riprendono la storia, ma riaprendo il colloquio sul piano apertamente «affettivo» verso il Paese e verso il popolo; senza nuove riflessioni teologiche, senza analizzare i punti di consenso e di dissenso, ma con una grande, enorme apertura affettiva verso il popolo cinese.
Il dialogo non è quello del compromesso giuridico. No, qui per «dialogo» si intende una comprensione profonda che si basa su quelle quattro dimensioni che abbiamo visto prima. E con l’obiettivo, dice il Papa, di camminare insieme. Infatti, come ha ricordato prima padre Lombardi, «la realtà è più importante dell’idea» (EG). E questo è il messaggio più forte e più nuovo. Che certamente diventa anche un appello molto credibile, perché viene non solo da un Papa, ma da un Papa figlio di migranti. Così viene messo da parte il secolare problema dei rapporti tra Cina e mondo occidentale. È un cammino da fare con pazienza, lungimiranza e, dice il Papa, con misericordia. Questo è un elemento diverso, pur nella continuità, rispetto ai messaggi precedenti, in particolare quello del 2007 di papa Benedetto.
Ricordiamo una frase del Papa sull’Italia: «Dio protegga la Chiesa italiana da ogni surrogato di potere, di immagine e di denaro». Tradotto in cinese, questo messaggio è estremamente importante. Nella Chiesa non c’è – non ci deve essere – nessun desiderio di potere, di influenza. Si tratta di un elemento nuovo, che emerge in tutte le pagine di questo volume.
La Chiesa deve affrontare in Cina il problema che affronta in tutto il mondo, cioè la secolarizzazione. Un processo che in Cina ha una rapidità enorme, e che si è manifestato in poco più di una generazione, ossia dal 1978 in poi. E che tocca anche la Chiesa: nel libro si accenna, ad esempio, alla fase di diminuzione delle vocazioni. In Cina poi si manifesta con forza la contrapposizione tra la modernizzazione e la tradizione della Chiesa – uno dei grandi problemi sul tavolo – e la difficoltà di dare senso a uno sviluppo tumultuoso, quindi di risolvere il problema di un parallelo avanzamento tra sviluppo economico e sviluppo spirituale: problema non semplice, vista la rapidità del progresso del primo tipo.
Dal libro emergono poi la questione della coerenza e quella della commisurazione tra aspettative e realtà: la realtà va seguita alla luce di un’ideologia astratta, ma con la capacità di capire le evoluzioni e i problemi della società. Questo non è facile, perché esige saggezza e una conoscenza profonda del Paese.
Per comprendere la straordinarietà del processo di sviluppo che sta vivendo la Cina, basta ricordare che si tratta di un Paese che ha portato 700 milioni di persone fuori dalla povertà in poco più di una generazione: un’impresa mai riuscita a nessuno al mondo. Inoltre, è un Paese che comincia ad avvertire la consapevolezza – e questo è un tema che riguarda anche la dimensione spirituale e religiosa – di essere vicino a una leadershipmondiale. È una questione molto sentita in Cina. Nel suo ultimo discorso al recente Congresso del Partito comunista cinese, Xi Jinping lo ha sottolineato. È probabile infatti che, se non vi saranno particolari cambiamenti, entro il 2035 la Cina sarà il Paese con il reddito pro capitepiù elevato al mondo. L’altra fortissima tensione è quella verso una primazia non soltanto economica, ma anche scientifica.
C’è quindi questa chiara propensione ad abbracciare il globalismo economico, ma con una forte resistenza nei confronti dell’universalismo politico, giuridico e sociale. La Cina accetta la sfida dell’apertura economica e quella dei mercati, ma senza rinunciare alla propria identità politica. Anche nel recente Congresso, socialismo ed economia di mercato sono stati tenuti nettamente separati. Comprendere le forme e le ragioni di tale distinzione è una questione fondamentale. Nella prospettiva cinese, non si può essere in un mondo liberal a spese dell’identità nazionale. È come se la Cina dicesse: «Il mondo ci deve guardare per come noi siamo, e non con le lenti dell’Occidente».
Nelle più recenti iniziative politiche questa dimensione viene fortemente sottolineata. Lo vediamo anche nel progetto della «Nuova via della seta», in cui la Cina vuole appunto globalizzarsi, cerca una interconnessione con gli altri Paesi, ma con una forte difesa dell’identità nazionale. È questo per me il fattore di maggiore complessità nei rapporti con la Cina oggi. Il libro, seguendo la trasformazione avvenuta nel Paese, nella sua ultima parte tocca anche tali temi, pur senza entrare nei risvolti strettamente politici.
Per far comprendere l’importanza oggi del tema dell’identità nazionale cinese, porto un esempio. Nel mio primo anno di insegnamento a Shanghai, uno studente mi chiese cosa mi aspettassi dal futuro della Cina, sintetizzandolo in tre parole. Risposi così: Growing Cooperative China, ossia una Cina che cresce in modo cooperativo. Lo studente apparve contento della mia risposta. Nell’ultimo anno di insegnamento, due anni fa, mi hanno rivolto la stessa domanda, e io ho risposto allo stesso modo, ma allora mi hanno chiesto: «Cosa intende per “cooperativa”? Che noi dobbiamo essere sempre sottomessi all’Occidente?». Tutto ciò ovviamente si fonda anche sugli obiettivi già ottenuti e sulle prospettive che il Paese si è già dato per il suo futuro. Qualsiasi dialogo – religioso, culturale, politico – con la Cina non può dunque non tener conto di questo differente modo di concepire una Growing Cooperative China. Non dico che in questa affermazione dell’identità cinese ci sia uno spirito di revanche, ma certamente una forte affermazione di sé, proiettata nel futuro, che scuote la politica mondiale.
Nel libro è sottintesa, in modo molto interessante, la necessità di dare un significato, un contenuto etico profondo a questo sviluppo futuro. Nonostante le contraddizioni, è in questo senso che va letta la grande attenzione che la Presidenza cinese ha rivolto in questi anni alla lotta contro la corruzione, e contro tutti i comportamenti che possano minare «l’anima della Cina». Qui c’è ampio spazio per un approfondimento spirituale e religioso: uno spazio in cui si può collocare anche questo libro.
Come coniugare tale sforzo di sviluppo politico-economico senza precedenti con un’anima, che di solito viene sempre travolta in queste grandi trasformazioni? Ecco la domanda più importante che questo libro, anche nella diversità dei contributi proposti, alla fine si pone. Una domanda che mostra un’attenzione positiva, sebbene si tratti certamente di una sfida enorme.
Quindi, esaminare l’aspetto religioso ed etico di tale cambiamento è il principale merito di questo libro. È possibile un dialogo profondo con la Cina, guardando alle questioni fondamentali della vita dell’uomo? La risposta a questa domanda è positiva, proprio perché il Paese conserva valori tradizionali profondi.
Il dialogo con la Cina implica ovviamente problemi politici di dimensioni notevoli. Sempre per guardare solo al progetto della «Nuova via della seta», si tratta, sì, di un’opportunità di collegamento tra la Cina e l’Europa, ma solo in piccola parte. È una proposta di cambiamento, integrazione ed esportazione culturale, che vuole coinvolgere tutta l’area circostante, ossia in particolare l’Asia, che da sola rappresenta circa la metà dell’umanità. Non si tratta dunque solo di una proposta strettamente «politica».
Questo libro ovviamente non analizza gli aspetti economici e tecnologici di tale cambiamento in corso, ma ne descrive profondamente il significato per l’umanità futura. È su questo fronte che il dialogo con la Cina ha un’enorme importanza, perché non possiamo pensare al futuro dell’umanità senza immaginare un ruolo da protagonista per la Cina.
Certo, c’è bisogno che tale dialogo sia veloce. Pensiamo a quel cambiamento nell’approccio degli studenti cui accennavo prima: la gioventù cinese è diversa dai suoi concittadini di 20 anni più anziani. In questo senso, il libro offre una chiave fondamentale per tale dialogo, importante per la pace, per lo sviluppo dell’umanità, per la costruzione di alcune basi di pensiero comuni, in un mondo che invece tende sempre più a dividersi.
Perciò sono grato ai curatori e agli autori di questo libro, che è uno strumento molto utile per il futuro, e non solo per il presente.
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Prima degli interventi del presidente Gentiloni, di p. Lombardi e del professore Prodi, il direttore de «La Civiltà Cattolica», p. Antonio Spadaro, si è rivolto al pubblico con le seguenti riflessioni introduttive:
Il nostro non intende essere un incontro politico, ma un incontro di testimonianza: la Chiesa, l’Europa, l’Italia testimoniano il ruolo della Cina nel passato, nel presente e, per quel che vediamo, nel futuro.
Innanzitutto, penso che tutti qui possano fare proprie le parole che papa Francesco ha pronunciato in un’intervista rilasciata a Francesco Sisci per Asia Times: «Per me – ha detto il Papa –, la Cina è sempre stata un punto di riferimento di grandezza. Un grande Paese. Ma più che un Paese, una grande cultura, con un’inesauribile saggezza».
La cultura occidentale ha imparato tanto dalla grande cultura e dalla saggezza cinesi, che sono arrivate in Europa grazie allo studio e alla passione dei gesuiti e soprattutto dei figli della nostra Italia. Faccio un nome per tutti: il siciliano Prospero Intorcetta, grande studioso e traduttore di Confucio. Filosofi come Leibniz hanno fatto tesoro di questa lezione. Pure le lettere dei missionari gesuiti in Cina – veri e propri reportage – al tempo dell’Illuminismo furono occasione di conoscenza della cultura cinese da parte di intellettuali quali Voltaire, Montesquieu e Rousseau. Grazie a uomini di Chiesa, cioè i gesuiti, la cultura cinese ha inciso nel pensiero e anche nel gusto nella grande cultura europea. Potremmo dire che i gesuiti sono stati pionieri di una sorta di «sinizzazione» dell’Occidente.
E anche a La Civiltà Cattolica papa Francesco – lo scorso febbraio, in occasione della pubblicazione del numero 4000 – aveva dato come modello di riferimento un uomo che ha amato la Cina senza riserve: Matteo Ricci o Lì Mădòu, come è conosciuto in Cina (1552-1610).
Questo gesuita di fine Cinquecento – che si trasferì in Cina a 30 anni – compose un grande mappamondo. Esso servì a creare connessioni tra il popolo cinese e le altre civiltà. Il mappamondo offre una visione unitaria: è un ponte che collega visibilmente le terre, le culture e le civiltà che sono sotto il cielo. In un mondo diviso come il nostro, in un mondo di muri e ostacoli, l’ideale dell’armonia di una terra in pace deve animare la nostra azione.
Il presidente Xi Jinping, in un discorso all’Unesco del 2014, usò l’immagine dei molti colori per descrivere il «magnifico atlante del cammino delle civiltà umane» sulla terra. Usò quindi l’immagine del mappamondo e della tavolozza di colori per esprimersi direttamente contro il cosiddetto «scontro di civiltà» e in favore dell’armonia. Ricordo che anche Papa Francesco ha usato l’immagine della tavolozza dei colori e ha proposto la «civiltà dell’incontro» come alternativa alla «inciviltà dello scontro».
Proprio nell’intervista ad Asia Timesche citavo prima, il Pontefice aveva affermato: «Il mondo occidentale, il mondo orientale e la Cina hanno tutti la capacità di mantenere l’equilibrio della pace e la forza per farlo». Ma l’equilibrio a cui pensa il Papa non è certo il frutto del compromesso e della spartizione – il modello Yalta, per intenderci –, ma quello del dialogo, quello dell’incontro di civiltà.
Abbiamo voluto pubblicare questo volume anche per contribuire alla riflessione sulla vita della Chiesa cattolica in Cina, che è presentata grazie anche ad interviste e testimonianze di voci cinesi. Da queste voci si comprende come anche oggi lo sviluppo e il progresso economico non abbiano eliminato i bisogni spirituali. Tutt’altro. In questo ambito prende senso la riflessione teologica. Nel contesto del buddismo, del confucianesimo e del taoismo, la teologia cristiana cerca di collegare strettamente tra loro il cristianesimo e la grande tradizione del pensiero e della sensibilità cinesi.
Il cristianesimo – mantenendo la propria universalità e la propria capacità di creare comunione – va pensato anche in termini cinesi e alla luce della grande filosofia e saggezza cinese. Ad esempio, andrebbero approfondite meglio le dottrine a carattere filosofico e mistico dell’antico taoismo composte tra il IV e III secolo a.C. Nel Tao Te Ching, si potrebbero ritrovare alcune prospettive adatte al pensiero cinese per leggere il Vangelo e, viceversa, per approfondire in maniera nuova il messaggio cristiano. E il pensiero va subito ai meravigliosi testi teologici nati dal primo incontro tra il cristianesimo e la cultura cinese tra il VII e il IX secolo, vera teologia cristiana dai tratti profondamente cinesi. Ma penso pure, ad esempio, al commento del Tao Te Chingrealizzato dal gesuita p. Claude Larre alla fine degli anni Settanta.
La Chiesa in Cina è dunque chiamata ad impegnarsi con slancio nella sua missione di annunciare il Vangelo, per contribuire nel modo più efficace al bene del popolo cinese, con il suo messaggio religioso e con il suo impegno caritativo e sociale. Ed è chiamata per questo ad essere localizzata e pienamente cinese, andando a fondo nel processo di inculturazione, alla luce dell’universalità propria del cattolicesimo.
Ricordo, a questo punto, le parole che papa Francesco ha pronunciato all’Angelus il 22 maggio 2016: «Possano i cattolici cinesi, insieme a quanti seguono altre nobili tradizioni religiose, divenire segno concreto di carità e riconciliazione. In tal modo essi promuoveranno un’autentica cultura dell’incontro e l’armonia dell’intera società, quell’armonia che ama tanto lo spirito cinese».
La storia del rapporto tra la Chiesa e la Cina è stata molto ricca ma anche molto tesa e complessa. Bisogna dunque prendere tempo per far crescere un rapporto di fiducia. La fiducia, più che una «meta», è una via. Ma è anche quel giusto mezzo che, come nel guidare una bicicletta, fa stare in piedi e permette, trovando la giusta velocità, di andare avanti e di non fermarsi.
Il significato della copertina del volume, in fondo, è proprio questo: riporta il carattere cinese zhong, che significa «centro». È quello usato, tra l’altro, per comporre zhongyong, che esprime il concetto confuciano di «giusto mezzo», ma anche zhongguo, cioè «lo Stato del centro», che è il nome della «Cina». Fu proprio Matteo Ricci a usare questa espressione nella sua mappa.
In termini geopolitici, il centro del mo